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Chi ha paura di Toscani?

06/07/2004 5441 lettori
5 minuti

Tutti conoscono Oliviero Toscani e le sue campagne per la Benetton. L’ultima presentava agli occhi del mondo il dramma della pena di morte con la scritta “sentenced to death” stampata sulle foto dei condannati. Una sentenza senza appello anche per Toscani, colpevole dell’ennesima provocazione alla morale e al buon gusto del pubblico europeo e nord-americano.

Ciò che il mondo produce il mondo dimentica. Sembra che solo i Tg abbiano il diritto-dovere di offrire immagini agghiaccianti ed iper-reali. Anzi, più i servizi sono a servizio di uno scopo specifico (guerre umanitarie, vedi Kosovo) più si esalta la brutalità di un dato contesto.

 La realtà è sporca, ben lontana dall’immaginario della pubblicità. La comunicazione può essere euforica o disforica e spetta al destinatario accettarla o meno. Ma chi l’ha detto che lo sposalizio tra un brand e una causa sociale debba essere tanto rischioso?

Andando al di là del fotogiornalismo cui era approdato Toscani nell’ultima fase del suo rapporto con la Benetton, le aziende potrebbero sfruttare media come Internet per sensibilizzare il pubblico verso una determinata causa sociale. Le pagine istituzionali potrebbero, ad esempio, supportare la raccolta di fondi o anche la partecipazione a campagne per i diritti umanitari (sull’esempio di Amnesty).

Forse col tempo i consumatori si abituerebbero all’apparentamento tra la comunicazione sociale e quella commerciale conservando intatte (per la gioia delle aziende) tutte le loro pulsioni, in primis quella all’acquisto. Certo, sono belle le mutande di Roberta, ma ogni tanto il nostro pensiero dovrebbe correre verso chi (usando un linguaggio crudo alla Toscani) un paio di mutande neanche ce l’ha.